Di Filippo di Ser Brunellescho Lapi (1377-16 Aprile 1446) che, con la distorsione dovuta al Vasari fu chiamato dai posteri Filippo Brunelleschi, non conosciamo molto, specialmente dei primi anni della sua vita.
Abbiamo le sole notizie che Antonio di Tuccio Manetti ha scritto nella “Vita” .
Da lui sappiamo che nasce in via Larga (oggi via Cavour) da Ser Brunellescho di Lippo (Filippo) LAPI e Giuliana Degli Spini (o Spinelli) nel 1377 .
Fu il secondo di tre fratelli .
Il suo fratello maggiore (di cinque anni) fu chiamato Tommaso che nel 1405 si iscrisse nell’Arte della Seta.
Nel 1425 si ritirò come pensionante, con tutti i suoi averi, presso i Frati del Chiostro Geronimita di Colombaia, ove morì fra il 1427 ed il 1431.
Dell’altro fratello si sa solamente che prese gli ordini di sacerdote
La sua famiglia era originaria di un paesino fortificato (castello) sulle rive del PO chiamato Ficarolo, in provincia di Ferrara .
Da questa origine prende spunto lo stemma della famiglia che vede alcune onde verdi su fondo d’oro con due foglie di fico .
Le onde sono un indubbio riferimento al fiume PO.
Le foglie di fico, al diminutivo del nome della zona, appunto “Ficarolo”.
Viveva a Firenze intorno al 1350 un certo Lippo di Cambio figlio di Maestro Ventura Bacherini , medico e fisico ed un suo fratello Giovanni Bacherini, come risulta dal Libro dell’Arte de’ Giudici e Notai del 1351 .
Lippo di Cambio ebbe come sposa Monna Lippa de’ Brunelleschi, come risulta dal suo testamento , ritrovato dal Capitano Cosimo della Rena .
Dal matrimonio di Lippo di Cambio Lapi e Lippa de’ Brunelleschi nacque Ser Brunellesco (1331-1397/1404), padre di Filippo.
Il biografo Antonio di Tuccio Manetti ci fa sapere che suoi parenti stretti si chiamarono LAPI e precisa che nella città di Firenze vi era un’altra famiglia che portava questo nome .
Si riferisce sicuramente alla antica famiglia dei Lapi-Aldobrandi a cui nel 1431 lo stesso Filippo Brunelleschi lascia in testamento alcuni averi, indicandoli come “cugini” .
“ É stata ed è una branca di quella consorteria che si chiamano Aldobrandi, benché agli ufici della Città mai si sieno dato divieto, chè non vi s’è badato, e hanno le case loro nella via del Palagio, andando dal palagio del Podestà a via Ghibellina, presso le Stinche a mano sinistra. Ed enne due fratelli. Domenico e Tommaso di Carlo Aldobrandi, e di Tommaso e figliuoli, e Filippo era più stretto di questi. E per ogni lato sono usi avere ed hanno tutte le onoranze della città. “
Questa breve indicazione del Manetti, dovrebbe chiarire definitivamente il cognome del Nostro Filippo che non apparteneva per linea paterna alla famiglia dei Brunelleschi (nonna Lippa) ma a quella dei Lapi-Aldobrandi a cui il nonno (Lippo di Cambio) era legato.
Filippo di Ser Brunellesco (di Filippo) LAPI , questo era il vero nome, per esteso, del Maestro.
La parentela di Filippo era quella che aveva le case in prossimità dell’Orto di San Michele, della Chiesa di San Bartolomeo nel corso degli Adimari , nel Canto de’ Ricci ed infine in San Marco dove, in via Larga, aveva la casa il padre Ser Brunellesco .
La casa ove nacque Filippo si trovava verso la fine della strada sul lato sinistro per chi viene da Piazza San Giovanni.
Il Padre fu Notaio. Lo troviamo iscritto nell’Arte dei Giudici e Notai nell’anno 1331.
Fu usato come fiduciario dell’Ufficio dei Dieci di Balia per “difficili” ambascerie e per il reclutamento di milizie mercenarie anche in paesi stranieri. E’ stato sempre molto apprezzato per i servigi resi alla Repubblica Fiorentina.
Si cita infatti nel “liber Regulatorum Introitos et expensarum Communis Florentia : Ser Brunellescus Lippi ( Il “lippi” sta per “di Lippo”) Ambasciator pro Communis Florentie transmissus ad partes Alamannie” .
Lo vediamo anche inviato a Vienna nella Primavera del 1367 come ambasciatore per colloqui con l’Imperatore Carlo IV per conoscere quali intenzioni avesse nei confronti della Città di Firenze nella sua imminente discesa verso Roma ed eventualmente accompagnarlo in questo viaggio.
Dopo questa seguirono numerose missioni in tutta Italia, proprio perché si distinse in questa attività.
Nota interessante . Ser Brunellescho fu scelto per dare pareri sul rafforzamento delle volte della Cattedrale in costruzione , consigliando l’uso di “catene di ferro” al posto di eventuali contrafforti esterni. Bisogna quindi desumere che fosse ritenuto in grande considerazione nell’ambiente fiorentino.
Come ho detto, sulla sua infanzia del nostro Filippo poco sappiamo se non le pochissime notizie derivanti dalla Vita scritta dal Manetti .
Si sa solamente che, come tutti i giovani di buona famiglia, imparò a leggere e a scrivere e a “far di conto” (abaco) .
Non sappiamo se arrivò a frequentare l’Università (Lo Studio) che nel 1385 aveva riaperto, dopo il tumulto dei Ciompi.
É assai improbabile che appartenesse al Circolo di Santo Spirito ove fra il 1382 ed il 1387 insegnava il dotto monaco benedettino Luigi di Marsigli.
É comunque certo che imparò la lingua latina poiché sappiamo che partecipava ad incontri di specialisti sulle Sacre Scritture e che le commentava in Chiesa .
A detta del suo amico Paolo Dal Pozzo Toscanelli (1397-1482) ..”lo zelo ed il sapere dimostrato da Filippo in queste occasioni facevano credere di trovarsi davanti ad un secondo San Paolo…”
Con altrettanta padronanza ed impegno studiò la Letteratura Volgare, erudendosi su Dante, Boccaccio ed il Petrarca.
Dobbiamo al Vasari la notazione che ci presenta Filippo come un ottimo studioso della Divina Commedia e che oltre a commentarla pubblicamente aveva realizzato col disegno le rappresentazioni complete ed analitiche dell’Inferno, Purgatorio e Paradiso, danteschi.
Il Biografo ci dice infatti che, fino da piccolo, si dilettò molto nell’Arte del Disegno e della Pittura con risultati notevoli.
Dovendolo inscrivere in una delle Arti, il Padre, viste le indubbie capacità in questo campo, lo inscrisse in quella degli Orafi .
Fu posto “ a bottega” da un Maestro dell’Arte orafa.
Non sappiamo chi fosse questo Maestro. Alcuni lo individuano in Bartolo di Michele, patrigno di Lorenzo Ghiberti, che tenne sotto di se lo stesso Ghiberti e Donatello .
Ma da documenti inerenti il Duomo di Pistoia del 1400, si evince che il Brunelleschi era “congiunto” nell’allogagione dell’incarico ad un certo Maestro Benincasa che il Fabrikzy individua come Benincasa Lotti .
Si può quindi ragionevolmente pensare che costui fosse il suo Maestro di Bottega.
Dopo l’apprendistato, il 18 Dicembre 1398 , fu iscritto nell’Arte della Seta a cui appartenevano gli Orafi.
Non sappiamo quasi niente sull’attività svolta dal Nostro all’inizio della sua carriera di artista.
Gli vengono attribuiti, come indicato, alcuni busti in argento per il paliotto dell’altare del Duomo di Pistoia .
Ci dice il Manetti “..le due figure in ariento d’importanza…” che in effetti ci mostrano una anticipazione della sua impetuosità nel rappresentare l’atteggiamento dei Santi che “sembrano ruotare dinamicamente” con tutto il corpo, al di fuori della scena.
Questi busti , contrastano con gli altri che risultano essere a “panneggio diritto” e “fermo” e quindi classico dell’Arte del ‘300.
Quelli del Duomo di Pistoia, allogati ad un certo “Maestro Pippo da Firenze” hanno invece già in se il preludio dell’arte dell’imminente Rinascenza , che imbevuta del suo grande genio è chiaramente innovativa proprio su questo aspetto.
Bargello- formelle del Concorso del 1401
Nel 1401 lo vediamo impegnato giovanissimo nel Concorso per la Porte del Battistero di Firenze al quale vennero chiamati illustri ed importanti Artisti.
Circa sessantacinque anni dopo la messa in opera della Porta fatta da Andrea Pisano , gli inscritti dell’Arte di Calimala, nel ruolo di Guardiani dell’Opera di San Giovanni , pensarono di realizzare anche le altre due . Per questo motivo indissero il Concorso.
A questo vennero ammessi solo sei Artisti che per un anno venivano spesati . Questi erano i seguenti. Niccolò di Piero Lamberti da Arezzo . Jacopo della Quercia . Francesco di Domenico di Valdambrino. Simone da Colle di Valdelsa . ed i due giovani Maestri fiorentini Filippo di Ser Brunellescho e Lorenzo di Cione Ghiberti. La cornice che doveva contenere il lavoro era un “quadrilobo” attraversato da un quadrato posto per angolo che prende il nome di “compasso”.
Il Concorso si restringe ben presto ai soli Brunelleschi e Ghiberti.
Come sottolinea il Biografo, ben diverso fu il carattere artistico dei due contendenti.
Sembra che il Brunelleschi compì l’Opera in gran solitudine, chiuso nella sua casa materna di via degli Agli .
Il Ghiberti, invece, chiese l’aiuto del padre adottivo Bartoluccio che sicuramente lo aiutò anche nella fusione, essendo anche lui un orafo.
Il giudizio che l’anno dopo, il 1402 , formulò la commissione composta da trentasei esperti di tutte le Arti, non fu molto “pulito”.
Si pensa infatti che il Ghiberti aveva mostrato la cera “ a perdere” della sua formella a molti di loro “per riceverne consiglio” .
É evidente che l’esito del Concorso divenisse quindi un po’ scontato.
Dobbiamo concedere alla “cronaca” l’indubbio tifo di parte del Biografo brunelleschiano, ma forse, conoscendo il carattere “affaristico” e “pratico” del Ghiberti , da vero artigiano fiorentino, qualcosa di vero ci può essere.
Anche noi, vista l’attuale esistenza delle due formelle, possiamo dare un giudizio.
Dal punto di vista tecnico (fusione e lavorazione del bronzo) il Ghiberti era sicuramente superiore al Brunelleschi perché fonde la formella in un unico pezzo .
Brunelleschi è invece costretto a lavorare le figure una per una e ad unirle insieme tramite saldatura .
Questo aspetto deve avere pesato sul giudizio della Giuria del Concorso.
Dal punto di vista puramente artistico , la differenza era a mio avviso a tutto vantaggio del Brunelleschi .
Il confronto si basa sulla “staticità” classica delle pur perfette figure ghibertiane nei confronti della “dinamicità” ed “intelligente vitalità” di quelle di Filippo.
La mente geniale di costui fa muovere la scena e la trasforma in una “viva” tragedia che sta per compiersi sotto i nostri occhi.
Mentre l’Abramo del Ghiberti sfoggia, nella sua perfezione, una posa statica nell’afferrare il figlio Isacco, l’Abramo di Brunelleschi lo ha appena afferrato per il collo e “pigiandogli la gola con il pollice, per ridurre l’afflusso di sangue al cervello, per stordirlo e non farlo patire” , estende il braccio destro armato di coltello, il più possibile, perché la coltellata sia così letale da dargli una fine immediata e senza farlo patire.
É proprio quello che un padre farebbe se dovesse uccidere il proprio figlio.
Tutto questo è indubbiamente frutto del puro ragionamento.
Il busto di Isacco e dell’Abramo del Ghiberti sono notevoli.
La loro esecuzione li rende paragonabili ad opere dell’età classica.
Molti vi vedono infatti un riferimento diretto e considerano il Ghiberti come un appartenente al Neoclassicismo : figure ed ornati molto perfetti ma “statici” nei quali la scena assomiglia ad una rappresentazione teatrale.
Il realismo dinamico, la disperazione e la nervosità che le figure trasmettono dalla scena brunelleschiana rendono la sua opera realistica : la vita impregna tutta la formella che trasuda della drammaticità che viene direttamente trasmessa all’osservatore.
É il genio del Brunelleschi che costruisce la trama sottile immediatamente coinvolgente. La perfezione dell’ornato e della finitura perde di importanza perché la mente dell’osservatore è ormai rapita dal movimento delle figure nella scena.
É invece questa “perfezione” che il Ghiberti ricerca a porlo vicino ai Classici e lontano dalle nuove idee che costruiranno l’asse portante del Rinascimento del quale il Brunelleschi è invece l’iniziatore.
Il fatto che Brunelleschi conosca l’anatomia e funzionamento del corpo umano è la dimostrazione della volontà di permettere al cervello il pieno controllo sulla composizione ed invenzione della scena, per realizzare “il realismo” delle figure .
Come non notare nel Cristo in Santa Maria Novella il rivolo di sangue che scende dalla ferita e che scorre lungo la sua gamba e la rilassatezza della sua muscolatura ?
Per la prima volta dal Medioevo, si rappresenta un uomo “veramente morto” nella vera postura che seguiva la crocefissione romana.
É questo il preludio alle idee che fecero nascere negli artisti che lo seguirono l’esigenza di compiere studi di anatomia (come lo stesso Leonardo da Vinci).
Mi scuseranno i critici di Storia dell’Arte di questo “volo di ammirazione” per il Maestro, ma non ho potuto fare a meno di parlarne.
La ricerca del controllo sulla scultura fu seguita da quella sullo spazio architettonico che lo portò all’invenzione della Prospettiva Misurata.
Questo strumento mette in grado l’Architetto di controllare l’equilibrio formale e di guidare, con possibilità di verifica, le scelte compositive nella modifica di questo spazio.
Dobbiamo quindi, a questa necessità da lui molto sentita, le sue ricerche sulla prospettiva che, coronate dal successo dovuto al suo genio, gli permetteranno di progettare spazi architettonici “perfetti” nei quali regna assoluta la percezione del loro equilibrio e della loro armonia, attraverso la ogni presente dimensione “umana”.
Ne sia prova l’affresco realizzato insieme a Masaccio che rappresenta “in prospettiva centrale” la crocefissione “vista dall’altezza dell’occhio umano”.
In questa ricerca del controllo dello spazio architettonico “prima della sua modifica” io vedo la necessità di dare al proprio cervello lo strumento per attuarlo.
Questa invenzione va vista quindi attraverso la logica che formò le basi del Rinascimento che pone l’uomo al centro dell’Universo, proprio grazie alla sua capacità di inventare attraverso il suo genio.
Ma non solo nei campi prima indicati la sua capacità di ragionamento ed intelligenza dettero meravigliosi frutti.
Primo fra tutti dal Medioevo, dette un enorme contributo alla meccanica ed all’Ingegneria.
Il ruolo che Filippo ebbe nello sviluppo di queste scienze nel suo tempo è veramente degno di nota.
Grazie alle sue invenzioni sulle tecniche della trasmissione del moto fu possibile realizzare le macchine che permisero di risolvere molti problemi strettamente legati alla costruzione della Cupola.
É proprio legando queste invenzioni alla costruzione del Monumento che se ne capisce la genialità e soprattutto l’ “attualità”.
Si comincia dalla prima macchina che prese il nome di “colla grande” e si finisce a quelle che servirono alla costruzione della Lanterna della Cupola.
Ogni macchina è congegnata in relazione al problema che doveva risolvere.
Questo è un aspetto che non è stato colto dagli studiosi del Brunelleschi, ma secondo il mio punto di vista è una delle chiavi più importanti per capire quanto il suo modo di ragionare fosse moderno.
La sua mente era abituata a dare risposte precise a problemi precisi.
Il suo modo di operare derivava direttamente dall’analisi razionale dei problemi che, inquadrati con fredda determinazione, venivano superati con soluzioni , le più semplici ed efficaci possibili, sempre legate al non spreco di risorse, di materiale e nella più assoluta praticità.
La lezione brunelleschiana non si limita alla sola meccanica.
Lo stesso comportamento lo troviamo nell’invenzione strutturale delle sue architetture.
La struttura diventa un organismo che vive, un insieme di dispositivi che conferiscono sia l’equilibrio formale che quello statico attraverso il loro “funzionamento”.
Il primo, controllato come abbiamo visto con la prospettiva, il secondo con la moderna concezione del ruolo che ogni parte di questi deve assumere nel contesto generale della costruzione.
A questi due importanti elementi se ne aggiunge un terzo : la ridondanza nella percezione delle sue scelte.
É veramente incredibile che in un uomo del ‘400 vi sia questa ricerca quasi assillante della “comunicazione architettonica” , quasi come volesse essere certo che il risultato delle sue “invenzioni” fosse assolutamente leggibile nella percezione del suo operato .
L’atteggiamento educativo con cui la accompagna è molto rivelatore e conferma in pieno questo aspetto del suo modo di concepire l’Architettura.
Il cromatismo a cui ricorre “tingendo” di scuro il sistema di menbrature ed archi che compongono alcune sue realizzazioni non è altro che un messaggio chiarificatore che, evidenziando le linee di forza che costituiscono l’equilibrio della sua struttura, permette di percepirne il funzionamento .
Questo diventa un messaggio ridondato che, aumentando le possibilità di comprensione, si fa capire “più facilmente” .
Questo aspetto rivela al meglio la sua sensibilità per il rispetto dell’uomo “che può comprendere” .
É per lui che il Maestro lavora ed a cui si rivolge.
Ancora una volta si fa congrua l’interpretazione del suo animo che, nonostante la complessità del suo pensiero, non gli permette mai di dimenticare il rispetto per i propri simili. L’Architettura deve sempre “comunicare” sé stessa.
La sua necessità di “essere capito” ne razionalizza e purifica il linguaggio architettonico e lo pone a pieno titolo fra gli Architetti “moderni” : forse ne è veramente il primo esempio !
Ma chi era Filippo di Ser Brunellesco , uomo ?
Quali erano i rapporti con gli altri più importanti Artisti ?
Le descrizioni del suo biografo non sviscerano il problema pur permettendo una discreta analisi del personaggio.
Come dice testualmente “…conobbilo e parlagli “ e quindi dobbiamo considerarlo molto attendibile nell’elegante giudizio che egli ci da del Maestro.
Era indubbiamente un personaggio meraviglioso ed un uomo veramente degno della fama che la sua vita e le sue opere gli hanno dato.
Il suo carattere, erroneamente descritto dal Vasari “dal cuore terribile” , era molto semplice ed immediato, rispettoso con chi lo rispettava, terribile con chi lo provocava od offendeva.
Non accettava imposizioni da nessuno, era sempre pronto al serio confronto o ad insegnare a chi “con interesse ed onestà” lo desiderava. Sia prova della sua straordinaria genialità il fatto che era molto modesto.
Non ha lasciato di se alcuna decantazione dei suoi meriti .
Sappiamo quali furono gli amici da un elenco pubblicato alla fine della famosa “novella del Grasso legnaiolo” .
Risultano essere tutti artisti come Antonio di Matteo dalle Porte, Michelozzo , Lo Scheggia, Feo Belcari, Luca della Robbia, Antonio del Migliore Guidotti, Domenico di Michelino e lo stesso figlio adottivo Andrea di Lazzaro Cavalcanti detto il Buggiano.
Nessuno di loro ha lasciato memorie sul personaggio.
La fama della famosa burla ,riportata fedelmente dal Manetti nella Vita, lo presenta implacabile nella “presa in giro” che da “buon fiorentino” considerava una vera e propria Arte !
Nel caso del Grasso Legnaiolo credo che parlare di presa in giro sia un po’ restrittivo.
La Burla riuscì così bene che il povero falegname ha dovuto emigrare in Germania , tanta era la vergogna che la faccenda gli procurò.
La fama conquistata con questa impresa deve avere influito negativamente sulla memoria che i posteri ebbero di lui e quindi già nel primo ‘500 quando il Vasari ne “riscrive” la Vita, copiandola praticamente dal Manetti, non può fare a meno di immaginarlo come “un fiorentinaccio” dalla facile e terribile satira, molto incline alla rissa !
La famosa intervista che ebbe a Siena col Taccola ci descrive in poche parole il suo pensiero in merito ai rapporti con il Potere.
La riporto integralmente “ …Non comunicare a molti le tue invenzioni, ma solo ai pochi che intendono ed apprezzano la Scienza, perché mettere troppo in mostra e spiegare le proprie invenzioni ed azioni significa soltanto sprecare il proprio ingegno . Ci sono molti che amano troppo ascoltare solo per criticare gl’inventori e contraddire a quel che fanno e dicono per impedire che vengano ascoltati in alto ed al posto giusto. E dopo qualche mese o un anno e diranno le stesse cose ,o per scritto , o con disegni e si vanteranno presuntuosamente di essere loro gli inventori di quelle cose prima dileggiate e si attribuiranno l’altrui gloria .
E c’è anche chi, grossolano ed ignorante, ascoltando cose nuove o invenzioni mai udite, troverà il loro inventore e le sue idee assurde e ridicole, dicendogli : “ ma fammi il piacere, smettila di dire queste cose che tutti penseranno che sei una bestia .”
Tuttavia, a causa di quelli che sparlano per invidia o ignoranza non si devono sprecare i talenti dati da Dio, ma seguirli ed esercitarli in modo che per mezzo della Virtù e dell’Ingegno si possa essere ritenuti sapienti dai più sapienti .
Non si può dimostrare a tutti ed ad ognuno i segreti dell’acqua del mare, dei fiumi e delle costruzioni da fondarsi dentro ad essi , ma ad un apposito consesso di scienziati , filosofi maestri esperti nell’Arte Meccanica , che deliberino su tutto ciò che è necessario per costruire ed edificare.
Chiunque vuol sapere di ciò che si sta discutendo, sia il colto che l’ignorante; ma il Colto comprende ciò che si dice riguardo ad un’opera o un edificio, e ne capisce sempre qualchecosa, o in parte , o completamente, ma l’ignorante e l’incompetente non ne copiscon nulla, e quando si cerca di spiegare, e non capiscono, sono subito mossi all’ira dall’ignoranza, perché vogliono far vedere d’intendersene e non possono. Così conducono altri ignoranti ad appoggiare le loro maldicenze, e a vilipendere quelli che sanno. Quindi c’è un gravissimo rischio (a parlare) in fronte a questi “capoccioni” ed ignoranti di acquedotti, di condotte forzate che salgano e scendano sia sotto che sopra terra, di edifici da fondare in acqua, oppure sopra l’acqua marina o dolce. Quelli che se ne intendono sono da apprezzare moltissimo, ma molto di più vanno fuggiti gl’ ignoranti , gl’ignoranti che hanno la testa dura sono poi da spedire in guerra. Gli specialisti dovrebbero essere eletti al Consiglio, perché danno onore e Gloria alla Repubblica. Amen” .
Niente di più “attuale” dei concetti molto “moderni” che esprime in merito alla posizione che dovrebbero avere in tutti i tempi “i saggi” !
Secondo l’idea che mi sono fatto io era però un pochino permaloso ……
L’analisi dei fatti mostra con chiarezza il cattivo rapporto e la dura competizione che ebbe con l’altro grande personaggio del ‘400 che è Lorenzo Ghiberti (Lorenzo di Bartoluccio) .
Il loro primo “confronto” avvenne, come abbiamo visto, nel 1401 per il concorso della porta del Battistero. Da quella data ,fra i due regnò incontrastata “molta ruggine”.
Nonostante Ghiberti si sia arrogati molti meriti nei suoi “commentari”, approfondendo gli studi sulla Cupola, si capisce chiaramente che l’invenzione delle tecniche costruttive e la conduzione effettiva dell’Opera fu tutta del Brunelleschi, che prevalse sempre su di lui.
Con Donatello sembra abbia avuto invece un ottimo rapporto basato sulla stima e l’ammirazione reciproca.
Entrambi sentivano il bisogno di consigliarsi e di frequentarsi “alla pari”.
In entrambi gli Artisti abbiamo presenti i valori della Rinascenza, anche se Donato era più propenso al personalismo ed a distaccarsi da tutti i suoi contemporanei.
Come dice il Ghiberti, era uno dei tanti che lo aveva sfruttato ed ai quali aveva insegnato il mestiere e che dimenticando la riconoscenza si era posto dalla parte dei suoi nemici.
Non credo che Donato fosse veramente ostile al Ghiberti, aveva solo sposate in pieno le idee che Brunelleschi seminò nella Città, che posero il Maestro delle Porte in secondo piano .
Per Masaccio (Tommaso di Ser Giovanni di Mone Cassai – San Giovanni Valdarno 21 Dicembre 1401 – Roma estate 1428) , il discorso è molto più importante e profondo. Brunelleschi fu Maestro e istigatore delle idee del giovane pittore.
Lavorarono insieme all’affresco della Trinità in Santa Maria Novella per realizzare la prima opera pittorica in “prospettiva misurata”. C’è infatti chi sostiene che lo stesso Brunelleschi ne abbia realizzato il “cartone” .
La pittura di Masaccio è infatti l’esempio figurativo dell’Arte del Maestro.
Basta vedere come le figure e le scene “raccontano” la vita.
É facile un parallelismo col Brunelleschi scultore. I protagonisti della scena, per la prima volta nella storia della Pittura, cercano un rapporto con chi guarda. I loro occhi si incontrano con quelli dell’osservatore conferendo alla composizione pittorica la stessa vita che troviamo nella materia del Brunelleschi.
Tutto è ottenuto con essenzialità ed immediatezza, proprio come il suo insegnamento ha mostrato già dal primo ‘400.
Al genio del Maestro hanno attinto molti dei personaggi più in vista dei tempi che seguirono, come lo stesso Leonardo da Vinci e la maggior parte degli Ingegneri del ‘500.
Nel caso di Leonardo, ritengo che sia stato uno dei più appassionati ed attenti studiosi dell’Opera del Maestro.
Nella Meccanica della trasmissione del moto sono ormai famosi i disegni che ha fatto delle macchine del Brunelleschi , risalenti sicuramente al tempo della sua attività nella Bottega del Verrocchio, intorno all’anno 1470.
In quell’anno frequentò il cantiere della Cattedrale per la realizzazione del “bottone” e della “palla” della Cupola ed ebbe modo di vedere e studiare le macchine per la costruzione di questa, ancora presenti e funzionanti nel cantiere.
Da studi recenti ho potuto stabilire che si tratta delle macchine per la costruzione della Lanterna che il Brunelleschi doveva avere realizzato prima della sua morte insieme agli elementi di marmo per la sua costruzione. Per questo motivo è stato possibile conoscerle alla generazione leonardesca, nata dopo la morte del Maestro.
Per “il Badalone” , il famoso battello a pale meccaniche inventato dal Brunelleschi per il trasporto dei marmi della Cupola, ha reso possibile la sua conoscenza il fatto che fosse spiaggiato, nei pressi di Montelupo, nel corso di una grossa piena dell’Arno, senza poter essere rimosso a causa del suo carico di trentatre tonnellate di marmo
Deve essere rimasto per decenni visibile da chi transitava in riva al fiume e quindi anche dallo stesso Leonardo che ne disegna i meccanismi nel famoso schema progettuale pervenutoci in copia anonima.
Ingegneri come Bonaccorso Ghiberti, Giuliano da San Gallo, il Taccola, Antonio di Giorgio Martini ed altri, completano la schiera dei suoi allievi indiretti e contribuiscono alla divulgazione del suo ingegno.
La sua Opera parla per lui .
La ricerca della perfezione attuata attraverso l’uso sistematico della Ragione che, utilizzando strumenti come l’Esperienza e la Conoscenza , lo rende il fondatore del Rinascimento.
L’esibizione costante della sua meravigliosa capacità di invenzione e di sintesi, ne sancisce in eterno la completa e più ampia paternità.