Massimo Ricci – Il Fiore di Santa Maria del Fiore
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La cupola di Santa Maria del Fiore è – secondo Lynch – il fuori scala che conferisce identità a Firenze: un’anomalia urbana che, in effetti, si impenna in un tessuto storico caratterizzato da una serrata, e talvolta persino esasperante, contesa spaziale.
La sua esecuzione impegnò, per buona parte della sua esistenza, Filippo Brunelleschi; che vi attese – considerate la lanterna, le balaustre dei corridoi interni all’ottagono – dal 1420 al 1441: generando una forma che ha arricchito il discorso urbano di una presenza nel contempo drammaticamente ierofanica e derisoriamente elegante.
Ora il merito di questo libro sulla cupola del Brunelleschi, al di là della fretta – eccessiva – con il quale è stato scritto, è la sua empirica determinazione. Massimo Ricci, che l’ha fatto nascere fra le melle interdetti, è riuscito, mediante un passe-partout fatto di elementari conoscenze tecniche ( che oramai, per la più parte, solo una residua tradizione orale conserva ), ad analizzare ingegnosamente quello che stà divenendo un vero e proprio oggetto di parossismo.
Il parossismo deriva, ovviamente, dalle lesioni che – anche secondo Ricci – si sarebbero formate durante la costruzione “per effetto di un “momento” spingente verso l’esterno con l’innesco di tensioni di trazione sulla tessitura muraria del tamburo” (p-81). La qual cosa sarebbe stata recepita dallo stesso Brunelleschi che, per questa ragione, avrebbe progettato le quattro rotonde a guisa di contrafforti.
“Sarebbe così spiegato perché la cupola non si rompe su tutte le facce, ma solo su quelle situate in corrispondenza alle rotonde: ché, evidentemente, nell’insieme strutturale cupola/tamburo/pareti, risultano essere le più deboli”(p.82).
Articolo di Lino Centi.
lapis/art– 1 gennaio 1984