Architettura Bioclimatica – Fondamenti di geometria solare
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“Negli ultimi tempi i libri sull’architettura ecologica, verde, biologica, bioclimatica, si sprecano: i più frettolosi mettono insieme un po’ di progetti e realizzazioni estrapolate dalle riviste inglesi e tedesche, una manciata di schizzi ben riusciti tratti da qualche tesina universitaria, i progetti di un paio di suoi concorsi ( per fortuna non vinti ) ed… ecco occupato un posto sullo scaffale delle librerie. Tanto i professionisti non hanno tempo per leggere e aggiornarsi ma solo per sbirciare le figure, agli studenti si pensa di poter far ingurgitare qualunque sciocchezza ( soprattutto se sono “i propri” studenti ), le commissioni che assegnano le cattedre universitarie, si sa, nel migliore dei casi giudicano i libri a pesi.
“Il sole e la sua energia, classificazione delle stelle, il sistema Terra-Sole, Costante solare fuori atmosfera, assorbimento atmosferico, Latitudine-Longitudine, Zenith…….” così dovrebbe invece iniziare un serio libro di blioclimatica, per concludersi con “Orientamento e distribuzione dei fabbricati o di insiemi abitativi, orientamento di un singolo edificio, orientamento di sistemi di edifici, studio di alcuni dispositivi di architettura bioclimatica, schermi solari…….” fino alla “Appendice tabelle solari per le latitudini in cui è compreso il territorio italiano.” Cioè uno strumento serio, pensato e maturato in esperienza personali, confrontato con quanto di più avanzato viene pubblicato nel mondo, utile, efficace, fondato. Che poi ciascuno possa utilizzare come meglio crede per progettare una architettura un po’ più logica, corretta, attenta ai luoghi di quella che normalmente sappiamo fare. E in effetti così – giustamente – inizia e conclude l’escursus sulla bioclimatica di Massimo Ricci, uno di quelli che di “solare” ne parlava più di vent’anni fa quando, presi dall’euforia di ciò che chiamavamo “progresso”, erano in pochi (pochissimi, quasi nessuno) a porsi gli intriganti problemi connessi con l’energia, l’inquinamento, il buco nell’ozono e via discorrendo. Oggi sappiamo (o dovremmo sapere: non vi sono più scuse) che il Sole è la nostra vita e la nostra speranza. Basti pensare che – solo a considerarne l’aspetto termico – su ogni metro della nostra Penisola “piove” all’anno qualcosa come un milione di chilocalorie, cioè più del calore sviluppabile da cento chili di petrolio. In verità nel manico troviamo un piccolo difetto: raramente il calore solare si presenta nella qualità ideale alle nostre sofisticate esigenze vitali.
Ora è troppo, ora è troppo poco e, a dirla tutta, noi abbiamo bisogno di scaldarci quando scarseggia (di notte e nei mesi invernali) e di difenderci quando abbonda (a mezzogiorno e d’estate). E qua dovrebbe intervenire quell’ingegno umano che, per vivere meglio, da sempre si è inventato trucchi e trucchetti. Basterebbe osservare con attenzione come “guardano” avide il sole le vecchie case dell’area alpina o tutti i sistemi per raffrescare l’ambiente che gli arabi hanno diffuso dalla Spagna alla Sicilia. Poi (come sappiamo: la stupidità delle nostre periferie è là a ricordarcelo ad ogni occasione, se solo ci concedessimo il lusso di riflettere)ad un tratto della storia, quasi improvvisamente, quelli che costruivano case e progettavano (si fa per dire) piani regolatori, sono diventati insopportabilmente presuntuosi ed hanno pensato di poterne fare a meno. Il presupposto era che sarebbe bastato girare una manopola ed ecco la fiamma accendersi, schiacciare un interruttore e l’energia fluire a riscaldare gli ambienti, sfiorare un telecomando e per magia il condizionatore si sarebbe messo a ronzare.
Come si spiega Ricci, abbiamo buttato via come superflua la sapienza accumulata nel tempo, quasi che i nostri nonni fossero degli ingenui incapaci: i muri che fanno da volano termico; le finestre che inghiottono i raggi, ne aumentano la lunghezza d’onda e quindi non li fanno più uscire; gli aggetti calibrati per schermarci solo d’estate; l’organizzazione compatta della casa che mantiene il cuore caldo o fresco a seconda delle necessità. Per la verità assistiamo oggi ad un lento ripensamento e tutti parliamo di casa ecologica, di ambienti sani, di qualità della vita, di risparmio energetico, di uomo in sintonia col cosmo (le pubblicazioni di cui parlavo all’inizio ne sono lo specchio – sia pure deformato – lo dimostrano). Così anche l’Università per darsi una patina di modernismo, si è messa a studiare il Feng Schuj e la fitodepurazione, magari trascurando quelle sante discipline che si chiamavano Tecnologia, Fisica Tecnica, Igiene edilizia. Detto in altre parole, occupiamoci pure di cromopsicologia e disegniamo i sottopassi autostradali per la microfauna, combattiamo il radon ed i cavi dell’alta tensione, ma non scordiamo che una buona architettura – come qualunque “pianta” – cresce solo in rapporto al luogo ove affonda proprie radici. Probabilmente la progettazione bioclimatica non risolve tutti i problemi ( un thermos è ineguagliabile, almeno nel rapporto costi/benefici, per la conservazione del calore; ma certo abitare in un thermos non è il massimo!) ma è sacrosanto che una casa non può dirsi correttamente progettata se non tiene conto dei più elementari principi bioclimatici (“Le superfici riceventi, concetto di superficie teorica ricevente unitaria,… la superficie irraggiata relativa, metodo di calcolo della Superficie Unitaria Relativa……” ci rammenta il Ricci).
Al di là della caratteristiche di biocompatibilità ed ecologicità dei materiali, oltre agli indubitabili valori simbolici e di coordinamento con le energie dell’ambiente, per partire dall’inizio bisogna che l’involucro abitativo svolga egli stesso una efficace azione di termoregolazione del microclima interno. Siamo pertanto felici che, oltre vent’anni or sono nascesse dentro l’Osservatorio di Astrofisica di Arcetri una importante amicizia culturale tra il Ricci e il cosmologo di fama internazionale Giuseppe Tagliaferri, entrambi impegnati nello sviluppo dei programmi per il risparmio energetico in Italia e nella Comunità Europea. È questa la base su cui si svilupperà poi la ricerca che porterà nell’80 a fondare insieme ad altri pionieri, presso il Dipartimento di Progettazione dell’Architettura di Architettura di Firenze, l’Unità di Ricerca Architettura/BioClima ( “Riuscii a calcolare la relazione che esisteva fra l’energia irraggiata sulle porzioni di vela della Cupola di Brunelleschi ed i movimenti della sua massa muraria.” racconta Ricci orgoglioso) e quindi a sviluppare il primo programma per elaboratore elettronico in grado di eseguire automaticamente calcoli solari; per giungere poi, ai nostri giorni, alla direzione di un Laboratorio di Tecnologia dell’Architettura, sempre presso la Facoltà di Architettura di Firenze ove gruppetti fortunati di studenti possono capire cosa c’entri il Sole con l’architettura.
Su queste pluriennali riflessioni nasce questo ponderato (molto meglio che “ponderoso”) volume che non pretende di insegnare nulla di sconvolgente o alla moda ma soltanto rammenta con fondata serietà a progettisti ecologisti o aspiranti tali (cioè a tutti coloro che intervengono a modificare l’esistente, dal momento che oggi non è possibile ipotizzare soluzioni che non tengano conto delle nuove consapevolezze ecologiche) che lavorare col Sole non vuol dire inventarsi strutture paraboliche o rivestire la facciata di cellule fotovoltaiche o ancora incastonarvi pannelli isolanti di policarbonato traslucido. Che anzi quelle case marziane che girano su se stesse o quegli aggeggi mostruosi e tecnologici piene di cavi e di strumentazioni che le riviste propongono ogni tanto come il massimo dell’ecologia, ebbene, ne sono molto lontane. Molto più corretto, molto più semplice ed alla intelligente portata di tutti è dare un’occhiata intorno, alzare la testa ad osservare le case dei nostri mirabili centri storici, approfittare di un incarico di restauro per curiosare oltre l’intonaco, riflettere a come costruivano quando il riscaldamento era un lusso e le materie plastiche lontane. Se è vero che la scienza e la tecnologia hanno fatto passi da gigante, reso tutto più facile e controllabile e ci consentono di affrontare i problemi con metodologie consone ai nostri tempi, vale ancora il criterio che nel progetto bisogna mettervi tanta saggezza e buon senso, escludendo atteggiamenti rinunciatari ma anche velleitarismi arroganti. In effetti, prima di farci chiamare progettisti, ci sono due o tre cose che tutti noi dovremmo conoscere…
Grazie, Massimo Ricci.” Ugo Sasso