Le prove del Cupolone sulla riva dell’Arno

Le prove del Cupolone sulla riva dell’Arno

“Per modestia la chimo ancora ipotesi sulla costruzione della cupola, ma a questo punto pare molto seria”. L’architetto Massimo Ricci, che alcune settimane fa presentò uno studio sulle regole seguite dal Brunelleschi per disegnare ed elevare il cupolone, ha illustrato ieri, per suffragare le ipotesi, alcuni documenti storici risalenti agli anni della costruzione.

L’affollata conferenza si è svolta nella biblioteca del liceo artistico, presenti studenti, insegnanti e alcuni esperti studiosi.

Ricci, come abbiamo riportato in un precedente articolo, era arrivato alla conclusione che l’idea della cupola venne al Brunelleschi da tre figure geometrice a forma di fiore attraverso le quali, con il solo uso di corda, fil di ferro, archipendolo e filo a piombo, poteva controllare in ogni momento la rispondenza della sagoma in corso di realizzazione.

I punti di riferimento di questo sistema di misurazione erano sulle curve dei petali dei fiori e venivano fissati sul piano di una impalcatura di legno, realizzata con forma ottagonale dentro la costruzione e poggiata su travi infisse nelle buche pontaie (che tuttora esistono alla base della cupola ma che sono state riempite di cemento per reggere i grandi ponteggi di servizio che ci possono ammirare in Duomo).

Il tavolato d’imposta e l’uso di semplici corde per misurazioni “tolgono di mezzo il concetto di una cupola generata da un sistema di rotazione, e confermano la mancanza di un asse centrale di riferimento: la costruzione e la misurazione avviene attraverso elementi verticali” dice Ricci e spiega come ritiene che Brunelleschi tenne segreto il suo procedimento.

“L’architetto andava sul greto dell’Arno a fare i suoi calcoli con le misure reali, adoperava picchetti e corde per costruire la geometria e per confondere le idee ai curiosi piantava più picchetti del necessario. Poi le misure ottenute le riportava in cantiere senza che nessuno potesse comprenderne i meccanismi.”

L’unico che capì qualcosa fu Giovanni di Gherardo da Prato, che nel 1419 fu giudice, incaricato dall’opera del Duomo, per i fatti del concorso, e potè così conoscere lo schema progettuale. Nel 1430, e cioè quando la cupola stava per essere chiusa, Giovanni di Gherardo propose contro il Ghiberti un’accusa terribile: l’era non rispondente al capitolato. D questa accusa abbiamo il documento, una pergamena con scritti e disegni, conservata all’archivio di Stato.

Dal disegno, che secondo Ricci riproduce il tavolato d’imposta sul quale erano prese le misurazioni per la geometria della cupola, si hanno dei precisi riscontri con l’ipotesi presentata dallo studioso.

Alla luce della regola proposta dall’architetto Ricci si comprenderebbe finalmente anche il significato dell’accusa di Giovanni di Gherardo, e cioè che il Ghiberti aveva murato la cupola con una curvatura a falso sesto. “Giovanni aveva ragione, ma il Ghiberti se la cavò con furbizia perchè nel progetto approvato aveva scritto che la curvatura doveva essere a quinto acuto negli angoli interni e solo in quelli la curvatura era tale”.

Persa questa disputa, di Giovanni di Gherardo da Prato non si sentì più parlare, ma è rimasto il documento che ha fornito all’architetto Ricci una prova della veridicità delle sue ipotesi.

“Non si tratta solo di appagare una curiosità storica, ma di verificare una mia intuizione, controllata da calcoli al computer che potrà servire per il restauro del monumento.”

Da la Nazione Firenze – Sabato 30 aprile 1983

Da la Nazione Firenze – Mercoledì 27 aprile 1983